Dai Navigli alla Provenza, un tappeto di stelle, nel firmamento della gastronomia, del vino, del buon vivere tout court.  Di stelle, non solo polari, in fondo c’è assoluto bisogno ogni giorno.

Ma, da qualche tempo in qua, stellato sembra essere diventato un aggettivo da abbinare più al sostantivo ristorante che a un cielo di un blu intenso e romantico. Se la linea è questa noi ci adeguiamo di buon grado, con qualche licenza, se non poetica almeno giustificata da un cedimento alla memoria di quando, in anni neanche tanto lontani, l’attenzione al cibo, al vino, al piacere di scoprire cose autentiche ma nascoste, non era affatto moda. Partendo dall’oggi, tracciamo subito un arco ideale che unisce i territori che vogliamo aiutare a scoprire e segnaliamo alcuni nomi, secondo noi emblematici. Il primo che ci viene in mente è, guarda un po’, quello di un monferrino a tutto tondo. Quell’Andrea Ribaldone da Lu Monferrato approdato già da qualche anno nei cieli stellati della gastronomia contemporanea partendo da un locale alessandrino di storica fama, “Alli due buoi rossi”, per approdare in terra di Langa, in quel di La Morra, ma anche anche altrove in Italia, con base a Milano, autentico king maker a Identità Golose, l’hub delle stelle. 

All’estremo opposto del nostro viaggio, in terra di Francia, ci piace citare non il solito lionese Paul Bocuse, bensì un altro grandissimo che ha fatto la storia della Costa Azzurra: Roger Vergè, il re di Mougins, che dal suo Moulin era diventato famoso nel mondo per la sua “Cuisine du soleil”, contributo francese all’eccellenza della dieta mediterranea. Capostipite di una generazione di grandi chef (Alain Ducasse, Jacques Maximin, Jacques Chibois, Christian Morisset),era nato nel 1930 e se n’è andato via a 85 anni nel 2015. Fu a lungo protagonista sui media, anche in Italia, quando gli chef non erano ancora star e da noi si parlava soltanto del suo coetaneo Gualtiero Marchesi e di pochi altri. Tra i piemontesi di quella stagione non si può non ricordare il mitico Guido di Costigliole che con la moglie Lidia a partire dai primi anni sessanta impose ai precursori di un genere “da Guido”, un santuario collocato in un anonimo condominio di paese, quando di promozione si cominciava appena a parlare e nell’astigiano nasceva la prima manifestazione dedicata ai ristoranti battezzata “Sette giorni gastronomica”. Erano gli anni in cui prendevano spazio con fatica su giornali e riviste e ancor meno in tv i temi legati al cibo e vagamente al turismo. In tv, che aveva da poco due canali, parlavano di cucina e vino solo Ave Ninchi  e l’avvocato-gastronomo Giovanni Goria, affiancati da un emergente Luigi Veronelli. Nasceva un genere, oggi dilagante, sulla scia dei primissimi “viaggi” di Mario Soldati, alla scoperta di cibi e vini della tradizione italiana. Mario Soldati, grande scrittore e regista che di cibi e vini piemontesi e liguri ha scritto molto e in termini lusinghieri. Senza nascondere una passione particolare che lo legava, anche per ragioni famigliari, a Gavi e al suo formidabile bianco.

Ma questa nota non può finire qui, senza ricordare un grande delle terre da cui parte ogni nostro viaggio: le terre di Lomellina. Un grande di cui è appena stato celebrato il centenario della nascita: Gianni Brera. Giornalista sportivo, scrittore, in arte anche gastronomo letterario. Considerato il funambolo della parola per antonomasia, nacque a San Zenone al Po nel 1919, molto legato ai territori della vicina Lomellina che nel centenario gli hanno dedicato molte iniziative e perfino una pista ciclabile tra Sannazzaro de’ Burgondi e Scaldasole. Morto nel 1992, ha lasciato una traccia profonda, specie nel linguaggio sportivo, e una valanga di parole nuove entrate nel lessico di tutti i giorni. Amava la buona tavola e ne ha scritto molto. Un titolo per tutti: “La pacciada”. Per una volta un titolo che non è un neologismo, ma un termine dialettale arcaico comune a più territori e perfino onomatopeico: la grande mangiata, senza freni e con soddisfazione suprema. Scrisse un giorno: «I bevitori di vino si dividono in due categorie: i viziosi che scontano il vino come una condanna e gli intenditori per i quali il vino è poesia e perfino preghiera».

Grazie Giuan.

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